[VIDEO] Come Uscire Dalla Zona di Comfort con il Metodo delle 5 R

Uno dei salti più grandi che ho fatto per uscire dalla mia zona di comfort è stato proprio quando, nel 2014, ho deciso di lasciare un lavoro sicuro, la mia famiglia e gli amici per trasferirmi a Singapore. Lì mi sono reinventata e ho creato la mia attività da zero.

Recentemente mi è capitato di tornare in questa città per una visita di lavoro e ciò mi ha dato da pensare, perché se 3 anni fa non avessi preso quella decisione tutte le cose che ho creato nel tempo non esisterebbero.

Oggi ti racconto le 5 R che in quell’occasione mi hanno aiutata ad uscire dalla zona di comfort: continua a leggere!

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Uscire dalla zona di comfort

Una delle cose che mi ha aiutata tantissimo è stata una frase detta dal mio docente di allora, dopo aver terminato la formazione per diventare coach. Ovviamente pensavo “È finita la formazione, adesso finalmente sono coach, quindi esco sul mercato e andrà tutto bene!

Invece lui ci ha detto “Oggi è un giorno molto importante perché, su 10 di voi che si certificano, in realtà solo 1 o 2 riusciranno a fare davvero quello che vogliono fare, riusciranno a diventare coach.

Sul momento non sono riuscita a capire cosa intendesse, così spiegò meglio: “Su 10 persone, 8 o 9 rimarranno nella loro zona di comfort, rimarranno nella mediocrità e quindi non riusciranno a diventare coach.”

1. IL PUNTO DI PARTENZA: Responsabilità

Per diventare veramente dei coach, dovevamo riuscire a dirci di non voler rimanere sul fondo ma di puntare in alto.

E per fare questo dovevamo prenderci la responsabilità: stava a noi decidere di avere il controllo in quello che facevamo e, anche se le cose potevano sembrare difficili come effettivamente potevano essere, avevamo l’abilità di rispondere agli eventi, di poter fare qualcosa per cambiarli.

Questo è un concetto bellissimo, perché se la responsabilità fosse di qualcun altro, vorrebbe dire che noi non avremmo alcun controllo su noi stessi!

2. PENSARE AL CONTRARIO: Reverse engineering

La seconda cosa che mi è servita molto si chiama reverse engineering, che in italiano suona come “ingegneria al contrario”. Quando si è agli inizi e si vuole creare un business, abbiamo la tendenza a vedere le cose come se fosse sempre troppo difficili, grandi e spaventose.

In questo caso è utile iniziare ad immaginarci dove vogliamo arrivare tra 1, 2 o 3 anni. Riuscire a visualizzare nel modo più concreto possibile quello che staremo facendo e, da lì, tornare indietro a piccoli passi.

Questa mentalità permette di analizzare i vari step intermedi: cosa dovrò aver fatto tra 2 anni se tra 3 anni voglio aver raggiunto il mio grande obiettivo? Se tra 2 anni voglio aver ottenuto determinati risultati, cosa devo fare nel primo anno? E così via.

È importante che l’obiettivo che ti poni sia per te fattibile e in grado di portarti esattamente là dove vuoi arrivare. Questo ti è utile per prendere consapevolezza del fatto che ogni piccolo passo non è fatto a caso ma è in funzione della direzione in cui desideri andare.

3. TUTTO È RELATIVO

La terza R che mi è stata utile è relativizzare. Quando abbiamo paura di fare qualcosa tendiamo a paragonarla alle altre cose che sappiamo già fare. Di conseguenza la vediamo come qualcosa di spaventoso, perché non la sappiamo ancora fare.

È come se vedessimo una pallina da tennis e una biglia: ovviamente la pallina da tennis ci sembra più grande, ma se mettiamo la pallina da tennis di fianco ad una palla medica, ecco allora che diventa piccola.

Ricordo quella volta che dovevo tenere il mio primo corso in inglese a Singapore. Me la facevo sotto perché a quei tempi non sapevo ancora parlare bene in inglese, per cui parlare davanti ad un pubblico, fare formazione in inglese mi spaventava tantissimo!

Mi faceva paura perché la confrontavo con la mia situazione presente, in cui facevo formazione in italiano. Poi però mi sono resa conto che il formatore che mi aveva chiesto di tenere questo corso parlava davanti a pubblici di 5.000 persone!

E lì ho pensato “Cavoli, io me la faccio sotto per tenere un corso di pochi minuti in inglese ad un gruppo di 20 persone e lui invece è in grado di fare delle conferenze davanti a così tante persone“.

Nel confronto ho capito che la mia paura non era nulla di grande, perché sarebbe stato molto più spaventoso dover parlare davanti a 5.000 persone. Ho quindi relativizzato la mia paura.

4. IL RIGETTO COME TERAPIA

Anche la rejection therapy è una degli approcci che più mi hanno aiutata. Durante una serata a cui ho partecipato con degli amici si parlava di questa terapia del rigetto: una sorta di gioco in cui, tutti i giorni per 30 giorni di fila, bisogna fare qualcosa in modo che qualcuno ci dicesse di NO.

L’inventore di questo metodo si è reso conto che più noi ci esponiamo al no, più cerchiamo consapevolmente di fare in modo che le persone ci dicano di no e più ne diventiamo immuni.

Questa cosa mi ha colpito molto perché una delle cause che ci impediscono di uscire dalla zona di comfort è proprio la paura che le persone ci dicano di no, ci respingano e ci critichino. Quando però ci mettiamo a cercare il no sapendo consapevolmente che fa parte del gioco, ecco che il rigetto fa meno paura.

L’esperimento in prima persona

Quella stessa sera, una volta tornata a casa, ho subito messo in pratica questa teoria con alcune persone importanti che volevo intervistare per il libro che stavo scrivendo. In particolare ho inviato la proposta ad un autore di un libro che apprezzavo molto.

Indovina un pò cos’è successo? Questa persona non solo mi ha detto di no, ma mi ha anche comunicato di avercela con i coach e che per niente al mondo avrebbe voluto essere menzionato in un libro di coaching!

Ricordo che la sua risposta fu come una pugnalata per me perché ero agli inizi e già mi facevo mille paranoie di ogni tipo. Eppure, dopo esserci inizialmente rimasta male, ho pensato che in realtà ormai sapevo già come ci si sente a ricevere un no e quindi ho deciso di andare avanti continuando a chiedere ad altre persone se volevano essere intervistate.

Questo mi ha permesso di immunizzarmi, di vaccinarmi contro la paura del rigetto. Se introduci nel tuo mindset il rifiuto non come paura ma come qualcosa a cui abituarti, ecco che riesci a sbloccarti e a fare molte più cose che mai avresti immaginato (e mal che vada avrai fatto un punto in più al gioco del rigetto).

5. Cambia LA PROSPETTIVA con il reframing

L’ultima R di cui voglio parlarti è quella del reframing dalla paura.

Quando abbiamo paura di uscire dalla nostra zona di comfort questa sensazione di blocca, ci impedisce di compiere delle azioni che invece ci aiuterebbero. Se al posto di associare il blocco alla paura associassimo un’azione positiva, ecco che la paura diventerebbe un motivo in più per uscire dalla zona di comfort.

È come se, ogni volta che cominci a provare paura, invece di fuggire ti dicessi “Ecco, se provo paura vuol dire che qui c’è qualcosa di bello per me, significa che oltre la mia zona di comfort c’è qualcosa di utile.

Usa la paura come stimolo per andare avanti invece che come freno. Anche perché la paura non passerà mai del tutto: ad ogni stadio della nostra vita prima o poi capiterà di provare nuovamente paura, ma sta sempre a noi decidere cosa farne.

La prossima volta che sentirai paura, invece di reagire subito scappando o provando ad eliminarla, cerca di ascoltarla e prova a capire cosa ti sta dicendo. Perché c’è sempre un risvolto positivo, un’opportunità dietro alla paura di qualcosa, ed è nostro compito sfruttarla per fare in modo che diventi nostra alleata e non un ostacolo!

Quindi, tu che cosa decidi di fare? Esci da questa benedetta zona di comfort?

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