Il 30 maggio del 2014 sono arrivata a Singapore con due valigie piene di vestiti, libri, speranze e paure. Dopo un anno di relazione a distanza con Simone, il mio attuale partner, finalmente mi ero decisa a lasciare tutto per trasferirmi all’estero, in Asia.
Alcuni dicevano che ero pazza: da poco avevo finalmente ottenuto un contratto a tempo indeterminato, con un salario che avevo sempre sognato. Insomma, stavo raggiungendo gli obiettivi che mi ero posta fin da piccola, quello del lavoro sicuro, e ora stavo mandando tutto all’aria!
Oltretutto non avevo alcuna certezza che con Simone le cose sarebbero andate bene. Fino allora la nostra storia era stata a distanza, e se si fosse rivelata un fuoco di paglia?
A due anni da quel giorno, mi trovo qui a Singapore, nel mio home office, a riguardare tutto ciò che è successo e a come è cambiata la mia vita…
Le paure prima di partire per Singapore
Faccio un po’ fatica a razionalizzare le paure che avevo prima di partire. Erano molte e intersecate l’una con l’altra. Di certo avevo paura a lasciare la mia sicurezza e le mie certezze. Rimettersi in gioco dopo aver lottato duramente per ottenere ciò che avevo mi terrorizzava.
C’era sicuramente la paura della solitudine: e se una volta arrivata a Singapore mi fossi ritrovata sola come un cane? Senza amici, senza famiglia, senza nessuno con cui parlare? Certo, c’era Simone, ma lui lavorava durante il giorno. Io che cosa avrei fatto per riempire quelle ore?
C’era la paura della lingua: per fortuna a Singapore si parla anche inglese, ma io non me la cavavo mica bene con l’inglese. E se non fossi riuscita a comunicare con la gente? L’idea di uscire a fare la spesa, di prendere i mezzi pubblici, di parlare con il portinaio mi facevano paura.
C’era la paura di non trovare un lavoro: già prima di partire avevo fatto alcune ricerche e sapevo che, non essendo sposata e non avendo mai convissuto prima d’ora con Simone, per questioni formali sarebbe stato difficile trovarlo. Anzi, avrei dovuto lottare con la burocrazia per ottenere un visto già solo per rimanere a Singapore, figuriamoci per lavorare!
C’era la paura di abbandonare mia mamma: e se le fosse successo qualcosa di grave mentre ero via? E se non fossi riuscita a tornare in tempo? Provavo anche del senso di colpa, perché lei era sola e io me ne stavo andando…
Infine, c’era anche un po’ di paura di non trovarmi bene con Simone: dicono che quando vai a convivere con qualcuno scopri come stanno davvero le cose. In cuor mio sentivo che sarebbe stato tutto ok, ma la mia mente razionale mi metteva in guardia dalle possibili difficoltà.
Le difficoltà incontrate realmente
Vuoi sapere quali sono le difficoltà che ho incontrato veramente? Ebbene, quasi tutti i miei timori si sono rivelati… corretti!!
La solitudine
Allora, sul discorso della solitudine, ho fatto fatica a conoscere altre persone e mi sono spesso sentita sola. Di natura sono introversa e faccio molta fatica a buttarmi nei gruppi. Ho bisogno del mio tempo per conoscere gli altri con calma, per parlare di ciò a cui teniamo, per raccontarci le nostre vite, ecc. ecc.
Ancora adesso risento di questa situazione. Certo, ho conosciuto molte persone e alcune le considero dei buoni amici. Ma ad esempio ho smesso di andare a fare shopping al sabato pomeriggio perché.. non saprei bene con chi andarci!
Per fortuna ci sono molti gruppi e network qui a Singapore, quindi la compagnia non manca. Tuttavia, l’amicizia vera, credo che nasca da giovani e richieda tempo per essere coltivata.
La lingua straniera
Per la paura della lingua, anche quella si è rivelata fondata. Non tanto perché qui si parla inglese, ma proprio perché in realtà non lo si parla. La lingua in uso è il singlish, l’inglese singaporegno! (guarda questo video su youtube per capire che cosa intendo e farti due grasse risate !!)
All’inizio non osavo nemmeno prendere appuntamento dal dottore, perché quando telefonavo non capivo un acca di quello che mi dicevano “Excuse me, could you repeat please?… Ehmm… could you repeat again?”
Trovare lavoro
Il discorso del lavoro è stato quello che certamente mi è pesato di più. Ho dovuto spostare mari e monti per ottenere non un lavoro, ma semplicemente un pezzo di carta che attestasse che avevo il diritto di lavorare a Singapore.
Inizialmente mi sentivo come una profuga indesiderata o come un peso per la società. Al più tardi ogni 3 mesi dovevo lasciare il paese per rinnovare il mio permesso, senza oltretutto sapere se mi avrebbero fatto rientrare.
Giravano voci che dopo un po’ di volte i doganieri si insospettivano e iniziavano a farti storie. Non so se è vero, ma questa “leggenda metropolitana” certamente ha contribuito a farmela fare addosso ogni volta che arrivavo alla frontiera.
Non potevo aprire un conto in banca, non potevo avere il mio abbonamento telefonico. Addirittura non potevo usufruire di alcuni coupon per dei massaggi gratuiti che distribuivano in giro!
Sentivo che mi erano stati tolti alcuni diritti che a casa davo per scontato. Tutto questo non faceva altro che farmi sentire ancora più persa, senza identità e soprattutto senza indipendenza.
Alla fine ho tagliato la testa al toro e mi sono messa in proprio 🙂
La famiglia e la coppia
Mia mamma per fortuna ha imparato velocemente a usare Viber, Whatsapp e Facebook, che ci hanno aiutato a tenerci in contatto.
Non sono però mancate le telefonate in cui, presa dal panico, mi chiedeva come cambiare la cartuccia della stampante di casa oppure non capiva come inviare una foto (meno male erano solo questi i problemi!) 🙂
Poi, c’è l’aspetto di coppia. Fortunatamente si tratta di quello che è andato meglio di tutti. Anche se ci sono stati dei momenti in cui ho provato molta rabbia repressa.
Ogni tanto ce l’avevo con Simone perché inconsapevolmente gli davo la colpa per tutte le difficoltà che stavo incontrando. E ovviamente di tanto in tanto rimpiangevo la mia vita di prima.
Citando la piramide di Marslow, prima di partire mi trovavo al livello più alto, quello dell’auto-realizzazione. Trasferendomi come “compagna al seguito”, ero tornata ai piedi della piramide, alle prese con i bisogni primari di sicurezza, appartenenza e stima. Questo articolo su Expatclic spiega molto bene i meccanismi in gioco.
Che cosa ho dovuto imparare
Per fare fronte a tutte queste difficoltà, ho dovuto per forza di cose fare un profondo cambio di mentalità.
Inizialmente avevo come punto di riferimento la mia vita prima di partire: le comodità che avevo, gli amici, la famiglia, e tutto ciò che mi dava sicurezza. Immancabilmente, la mia realtà a Singapore usciva sempre perdente nel confronto. Così, mi trovavo a rimpiangere quello che avevo e a tormentarmi per riottenerlo.
Poi, ho capito che così non poteva andare avanti. Se avessi continuato a focalizzarmi su ciò che ormai non avevo più, non sarei mai stata felice.
Complice anche gli “insegnamenti” di Nick Vujicic (hai in mente quel tipo nato senza gambe e senza braccia?) e di Anthony Robbins che avevo visto a Singapore, mi sono resa conto che io stessa mi stavo creando la mia infelicità.
Per evitare che la mia vita diventasse un inferno, dovevo cominciare a porre l’attenzione sulle mie piccole fortune quotidiane.
Diventare coach
A Singapore avevo deciso di sfidare me stessa e di formarmi per diventare coach accreditata ICF (l’associazione internazionale di coaching). Per via della lingua, temevo di non capire una sola parola di quello che mi avrebbero insegnato, ma da troppi anni ero attratta da questa professione. Volevo saperne di più e sentivo che era la direzione per me.
Posso affermare senza alcun dubbio che questa è stata una delle scelte migliori di sempre. Diventare coach ha significato rimettere in discussione me stessa, riconoscere i miei limiti, potenziare la mia capacità di ascolto e capire meglio i meccanismi di funzionamento dell’essere umano.
Sai, alcuni pensano che quella del coach sia un mestiere inventato, che tutti possano improvvisarsi tali oppure che sia un titolo che vada tanto di moda. La formazione ricevuta e l’esperienza sul campo mi hanno mostrato che i buon coach non sono quelli che ti dicono che cosa fare (a fare quello sono bravi tutti, no?).
Al contrario, sono coloro che hanno la capacità di ascoltare anche le cose non dette e di capire che cosa sta realmente accadendo nella tua testa, così da supportarti in un processo di scoperta dove tu stessa arrivi a trovare la soluzione più giusta per te, facendo chiarezza nella matassa di emozioni, pensieri, paure e convinzioni limitanti che ti impediscono di essere al meglio di te.
E per riuscire a fare questo è necessario iniziare da sé stessi (e non si finisce mai nel percorso di crescita!).
Fare amicizia con le mie paure
Ricordo che inizialmente andavo in panico ogni volta che incontravo un nuovo cliente: sarei stata in grado di aiutarlo? Avrei capito che cosa mi diceva (se parlava inglese, o singlish)? Avrei trovato le domande giuste da porgli?
Ho dovuto fare amicizia con queste paure e uscire dalla mia zona di comfort, rimettendomi ogni volta in discussione. E ho dovuto fare fronte con la paura di non essere all’altezza, accettandomi per come sono e per le mie capacità (o incapacità).
Inoltre, per stare meglio a Singapore, ho dovuto buttarmi, anche quando non mi sentivo affatto pronta. Ricordo ancora il primo corso che ho tenuto in inglese: facevo da assistente a un altro formatore e la notte prima avevo ripetuto fino alla nausea i contenuti che avrei dovuto presentare. E dire che si trattava di una cosa da 15 minuti al massimo!!
Oppure la prima volta che ho partecipato a un Toastmaster, dove ho dovuto improvvisare un discorso davanti a un pubblico di sconosciuti e non riuscivo a spiaccicare una parola. E ancora, quella volta che ho girato un video per LadyBoss, con il mio inglese ballerino.
Le opportunità del vivere all’estero
Ancora adesso, provo paura ogni volta che mi confronto con qualcosa di nuovo. Però, invece di fuggire, so che la paura è semplicemente un’emozione e che provarla è del tutto umano.
E so anche che nella vita non ci sono vere certezze, in qualunque momento le cose possono andare in una direzione che non mi sarei aspettata.
Anche oggi, mentre scrivo questo articolo, sono consapevole del fatto che forse non resteremo ancora a lungo qui a Singapore. Potrebbe essere per altri 2-3 mesi, oppure 1 anno o più, chi lo sa?
Ma se prima mi struggevo nei mille “e se, e se” facendomi una miriade di scenari mentali catastrofici, ora so che è solo vivendo giorno per giorno che potrò scoprire cosa accadrà veramente.
La lezione più importante che ho imparato in questi due anni in espatrio è stata la pratica della gratitudine. Non a caso, anche nella pagina Facebook di ThreeSixtySkills, ogni venerdì pubblico una quote su questo tema.
Perché più mi focalizzo sulle cose positive che accadono nella mia vita, ogni singolo giorno, più la apprezzo e mi sento grata per quanto sia bella. E più riesco a attrarre altre cose positive.
Sono convinta che le difficoltà ci saranno sempre, ma che siamo sempre noi a poter decidere come reagire ad esse. E non sto affatto sminuendo la cosa, so che può non essere facile.
Però siamo noi gli unici ad avere la responsabilità per fare qualcosa per cambiare: possiamo lamentarci all’infinito (e soffrire in eterno), oppure decidere di fare qualcosa, anche piccola, per cambiare.
Infine, un’ultima cosa di non minore conto che ho imparato è l’importanza di essere gentili con sé stesse.
Appena arrivata a Singapore volevo ricostruire in fretta, volevo ritrovare la mia indipendenza, mi ero posta degli obiettivi ambiziosi e mi tormentavo in continuazione.
Era più l’idea di chi avrei voluto essere, o ciò che gli altri si aspettavano da me, a farmi stare male. Io stessa mi infliggevo questa tortura perché ero dura con me stessa. Non ero mai soddisfatta dei risultati ottenuti e volevo di più, di più, tenendo sempre come riferimento la vita di prima.
Ora so che è sicuramente utile fissare degli obiettivi e pianificare le azioni da compiere, ma è più importante sentirsi bene con sé stesse, volersi bene e sapere che stai facendo il meglio che puoi.
Ecco qua, ci sarebbero altre mille cose da raccontare ma rischierei di scrivere un romanzo (ho già scritto un libro e mi è bastato!!) 🙂 Ora mi piacerebbe sapere da te come hai vissuto i tuoi primi anni all’estero, raccontami la tua esperienza nei commenti qui sotto.
P.S. Tra poco sarà disponibile il nuovo per-corso Forgia il tuo Destino, non vedo l’ora di mostrartelo. Puoi già fin d’ora scaricare il modulo introduttivo e approfittare dell’offerta di lancio quando il per-corso sarà aperto al pubblico!
Ciao Anh! Non ci sentiamo da parecchio ma ti seguo volentieri sui social. Ho letto questo post con interesse e curiosità… sai cosa ne penso? Che ci vuole coraggio a mollare tutto per ricominciare da zero altrove, non è da tutti! Leggo delle tue paure e del tuo carattere introverso eppure stento a crederci poiché ti ritengo una persona brillante!
Rock on gal!! 🙂
-Mitch
Ciao Mich! Grazie mille per questo feedback 🙂 Ehehe, sì, sono di natura introversa, specialmente quando sono in mezzo a grandi gruppi. Poi però se mi trovo bene con una persona è un attimo iniziare a chiacchierare 😉 Un grande abbraccione!!
Grazie Anh per questo articolo! Mi riconosco in tante cose. Ti auguro davvero il meglio, dal cuore, anche se non ci conosciamo. Un caro saluto! Karin
Ciao Karin, grazie mille per gli auguri e chissà che un giorno ci si riesce ad incontrare (perlomeno virtualmente via Expatclic ad esempio ^_^). Un caro salutone anche a te!
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