[SPOTLIGHT] Come Andare Oltre la Paura, con Mariacristina Errani

Nuovissima puntata per Spotlight, la rubrica in cui intervisto alcune delle coach e consulenti con cui ho avuto il piacere di lavorare, pensata per raccontarti le loro storie ed esserti di ispirazione 😉

La protagonista di oggi è Mariacristina Errani, meravigliosa donna e life coach specializzata nel superamento della paura, che grazie alle sue esperienze è in grado di aiutare le persone proprio in questa delicata fase.

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Anh:​ ​Ecco, allora ciao a tutte e ben ritrovate in questa nuova puntata di Spotlight! E oggi, nell’odierna puntata, siamo qui con Mariacristina Errani. Ciao Mariacristina!
Mariacristina:​ Ciao a tutti!
A:​ ​Ciao, come stai? Tutto a posto?
M:​ ​Sì grazie, tutto bene, sto benissimo.
A:​ Bene, bene, ottimo.

Allora, Mariacristina è Life coach integrato, specializzata nel superamento della paura.

M: Io sono Life coach integrato a orientamento Metacorporeo esattamente, poi durante la chiacchierata spiegherò di che cosa si tratta.

Sono una mamma adottiva single che ha deciso di intraprendere questa carriera e specializzarsi nella paura significa, esattamente, avere come approccio quello a eliminare prima di tutto la paura in ciò che dobbiamo affrontare.

In particolare io mi rivolgo alle persone che, avendo ricevuto una diagnosi, una prognosi di malattia o a seguito di un intervento traumatico, devono affrontare una paura profonda e dilagante che spesso ne condiziona la vita e ovviamente anche la guarigione.

Inoltre, mi rivolgo alle persone che hanno sì la percezione di dover intraprendere un cambiamento, ma che di fronte alla paura di questo cambiamento si sono fermate e necessitano di un aiuto per poter andare oltre e quindi entrare poi in contatto con quella che è la loro vera missione nella vita, diciamo, la loro realizzazione. Questo è essere specializzata nella paura.

Il motivo per cui ho scelto questa “strana” specializzazione è perché io ho superato due volte il cancro e ho avuto una serie di altre vicissitudini di salute piuttosto pesanti, per cui direi che posso definirmi, senza tema di smentita, un’ esperta di paura, malattia, guarigione e cambiamento. E metto a disposizione degli altri l’esperienza che ho accumulato in tanti anni direttamente sul campo.

Le motivazioni profonde per le quali ho intrapreso l’attività di coach e ho deciso per questa professione sono ovviamente legate alla mia esperienza personale e sono tre. La prima è perché altri non debbano pagare quello che ho pagato io, proprio perché a posteriori mi sono resa conto che il non capire il linguaggio che il corpo usava per parlarmi mi ha condotto a sperimentare cose molto pesanti.

La seconda è che la malattia, se arriva, non è detto che sia una condanna, anzi può essere una grande opportunità e questa è una cosa che io ho capito e ho sperimentato proprio quando ho trovato qualcuno che mi ha aiutato a capire che cosa c’era sotto tutto quello che mi accadeva nella vita; e la terza è che non è necessario ammalarsi per decidere di cambiare qualcosa, altra cosa che io ho sperimentato in prima persona e che adesso mi sento di dire a chiunque.

Non è necessario arrivare alle estreme conseguenze per mettere mano alla paura di affrontare il cambiamento, basta trovare l’aiuto giusto, ognuno troverà quello che più gli si confà, ma con un minimo di aiuto fare quel salto che ti permette di liberarti dall’insoddisfazione e di fare ciò che ti fa stare bene.

A: Sì, immagino che sia un qualcosa di veramente utile perché molte persone di fronte al cambiamento provano paura. Adesso mi incuriosiva chiederti, dalla tua esperienza personale, com’è stato questo incontro con la paura?

ti sei subito buttata e hai affrontato la cosa? Oppure le cose sono andate un po’ diversamente?

M: In particolare la paura si è presentata, credo, nella maniera più subdola perché era invisibile.
andare oltre la paura
Nel senso, io non sono mai stata una persona paurosa e nessuno, conoscendomi, avrebbe mai detto che io avevo paura, ma io non lo sapevo. Io per prima non sapevo di avere paura. La paura è emersa solo molto molto molto tempo dopo.

Tutti gli eventi precedenti della mia vita si sono verificati proprio perché la paura era talmente sepolta profondamente che non riusciva a mettermi un freno in un certo senso, e quindi io continuavo a comportarmi sempre in un certo modo, ad affrontare la vita a muso duro ma senza capire che questo veniva dalla paura.

E la paura diciamo esplicita, cioè visibile, è venuta solo quando sono arrivata alle estreme conseguenze, cioè quando ad un certo punto sono arrivata a confrontarmi con una malattia veramente irrisolvibile, diciamo per la quale non c’erano facili ricette. A quel punto, sono stata messa veramente con le spalle al muro, allora lì non sono più riuscita a tenere sepolta questa paura, l’ho sentita e in quel caso è stato positivo perché quella paura mi ha spinto verso la soluzione inaspettata e improbabile.

Quella che non avrei mai pensato di andare a cercare, perché non avendo mai avuto paura, io avevo sempre in mente un modo per riuscire a risolvere le cose.

Di fronte a quel tipo di paura che fondamentalmente, diciamocelo chiaramente, è la paura di morire e non vedendo la via, lì è scattato quello che ha poi portato alla grande evoluzione che è stato il momento nel quale ho cercato un aiuto che non fosse il mio, qualcosa di veramente fuori di me, non una risposta a basso costo ma un qualche cosa di completamente diverso, di nuovo.

Che all’inizio tra l’altro io non pensavo nemmeno potesse essere risolutivo, ma non avendo alternativa, a quel punto, l’ho intrapreso e lì è successo che le cose sono drasticamente cambiate.

A:​ ​E meno male!

M:​ ​Meno male sì, io ho trovato la soluzione.

A: Ecco, a proposito di soluzioni o di fare affidamento su altre persone. Sai perché comunque, in un campo così delicato come quello della malattia o della sofferenza, può essere facile incappare in persone che ti propongono la qualunque e magari non sono cose utili o addirittura lo fanno consapevoli che sono giusto per vendere.

Allora vorrei chiederti, tu quando hai avuto questo, diciamo, clic mentale in cui ti sei detta “Ok adesso cerco qualcosa, cerco qualcuno” che tipo di resistenze hai affrontato oppure avevi dello scetticismo?

Come ti sentivi mentalmente?

M: ​Mi sentivo proprio sull’orlo del precipizio, nel senso che, di mia spontanea iniziativa, mi sarei girata e sarei tornata indietro. Tant’è che proprio mi ricordo un aneddoto, il momento nel quale ho intrapreso un certo tipo di ricerca, passando tra l’altro attraverso un post su Facebook di una mia amica, quindi una cosa che avevo già visto e che avevo cassato come fregnaccia, ho detto “Ma sì, figurati”.

Essendo in forte difficoltà, dato che a casa mia tutti hanno Facebook, si è presentata mia madre giorni dopo dicendo “Ma tu hai visto quel post?” ed io ho detto “Ma mamma quelle son sempre le solite cose, lascia perdere”. In realtà poi, rimasta da sola, mi son detta “Va bene, adesso vado a vedere”, tanto non sapevo veramente che cosa fare, quindi sono andata a leggere e leggendo più
attentamente, perché a volte le resistenze ti mettono nelle condizioni di non capire nemmeno quello che leggi, mi sono resa conto che quello che parlava era un medico.

Ho cominciato a fare delle indagini su di lui e alla fine ho deciso di acquistare il libro di questo medico, che semplicemente approcciava la malattia facendosi delle domande differenti da quelle che sono le solite domande, e da lì è partita tutta una serie di cose per cui poi alla fine non ho nemmeno seguito quel medico ma ne ho seguito un altro, però mi si è aperta una porta.

La resistenza è proprio quella, cioè non vuoi sentirle certe cose. Quindi è molto importante anche essere arrivati al punto giusto di maturazione, cioè essersi evoluti e avere coltivato dentro di sé questo pensiero, questo dubbio, al punto da essere pronti, da essere fertili perché qualcuno possa seminare. Se non è così, può passare chiunque, un profeta, può passare il Messia ma tu non sei pronto.

Non sei pronto, sì. Secondo te quali sono le domande utili da porsi?

A: Perché prima dicevi che c’è stato anche un cambiamento delle domande che uno si fa o il proprio punto di vista legato alla malattia, quindi, ad una persona che adesso si trova in questa situazione, che magari ha appena ricevuto una diagnosi ed è ancora shoccata e incredula e magari rinnega anche quello che le sta capitando, quali possono essere delle domande che l’aiutano a stare meglio?

M: ​Allora, sicuramente, la domanda principale non è tanto una domanda. La prima cosa è una questione di accettazione, cioè questa cosa è accaduta, e adesso in una qualche maniera va affrontata. La prima cosa è pensare che c’è un senso, tutto ha un senso.

O siamo estremamente religiosi, e quindi spieghiamo tutto con qualche cosa al di fuori di noi, o altrimenti siamo qui non si sa perché, ad un certo punto spariremo e basta, non ci sono spiegazioni per cui qualunque cosa accada non ha di fatto una spiegazione. L’ottica nella quale si comincia ad entrare è un’ottica di senso: la malattia deve avere una sua funzione, che non è solamente quella di portarci alla morte, ma può avere anche un’altra funzione.

Su questo tanti hanno studiato, tante sono le prove per cui vale la pena, soprattutto se uno non ha delle grosse alternative, di dire “Ok prendo in considerazione la possibilità che sia effettivamente così o comunque andiamo a vedere quello di cui si tratta”, basta avere questo tipo di apertura. Non si pretende che uno creda a tutto quello che gli viene raccontato.

Nel momento in cui accetti l’idea che la malattia possa avere un senso, inizi a farti delle domande per andare a cercare questo senso.
andare oltre la paura
Ci sono tutta una serie di domande che tra l’altro possono essere anche molto fastidiose all’inizio, perché uno parte ovviamente dal concetto che la malattia è qualcosa che viene da fuori e che mi è capitata. Al massimo, la domanda che uno si fa è “Cosa ho sbagliato?”, nel senso che è colpa mia ma non è una questione di colpa, non è mai una questione di colpa. Qui nessuno ha colpa, è una questione di essere consapevoli o meno di ciò che accade dentro di te dal punto di vista emotivo e quindi le domande da fare sono in relazione a questo.

La prima domanda da porsi è, quando si è pronti per farlo, “Qual è il beneficio secondario della malattia?”, nel senso “Questa malattia cosa ti permette di fare che prima non potevi fare? O, questa malattia cosa ti mette nelle condizioni di non fare più che tu non volevi fare ma non ti potevi rifiutare?”.

Però è chiaro che, posta al momento sbagliato cioè quando non sei ancora pronto, questa è una domanda che rifiuti. Se invece hai cominciato a lavorare e sei al punto giusto, questa domanda ha per te un significato, perché basta fare l’analisi di ciò che ti capita nella tua vita dal momento in cui è avvenuta la malattia.

Può essere la cosa più impensata, può essere una cosa che non riguarda te, puoi anche solo aver attirato l’attenzione di qualcuno per esempio, o non essere più obbligato a fare quella cosa che può essere il lavoro o portare quella responsabilità familiare, qualunque cosa.

Diciamo che noi in questo mondo abbiamo il corpo per riuscire a trasmettere quello che è dentro di noi, per me è l’anima che per parlare usa il corpo. E purtroppo lo fa attraverso gli strumenti che ha, che per noi sono dolorosi perché sono il dolore e sono la malattia: è un cambiamento nell’equilibrio del fisico.

E a te, quando hai iniziato quindi a leggere questi libri e poi hai iniziato a lavorare con la persona che ti ha sostenuta, che cosa è successo dopo? Com’è stato?

M: ​E’ stato una specie di processo a cascata, come un fiume che nasce da una sorgente, un rigagnolo e poi man mano che l’acqua scende prende velocità, il letto del fiume si allarga, arrivano gli affluenti e diventa un fiume vero e proprio, da un ruscello si arriva ad un fiume.

E’ stata un po’ una cosa del genere dove lentamente, forse neanche tanto lentamente ma diciamo in modo costante, è aumentata la mia consapevolezza. Perché il lavoro poi, come sempre, come anche se si trattasse di un coaching normalissimo, lo fai tu, non lo fa qualcun’altro al posto tuo. Per cui in realtà ti vengono dati quei due o tre input che a te servono per metterti in moto. Una volta che ti metti in moto produci tu stesso l’energia necessaria a continuare questo moto, anzi a renderlo ancora più importante.

E quindi sono state alcune cose che mi hanno mossa e da lì diciamo che siamo andati avanti gomito a gomito, nel senso che io avevo bisogno ovviamente di conferme per capire se ero sulla strada giusta, ma poi è stato un lavoro che si è autoalimentato.

A: C’è stato talmente tanto, no? Quello che è avvenuto è stato così importante che adesso tu hai deciso a tua volta di diventare coach e di aiutare persone che attraversano un momento di questo genere. E ho visto sul tuo sito, quando appunto parlavi del coaching integrato, che menzionavi il fatto di considerare il corpo, l’anima e la mente non come tre cose distinte, ma come qualcosa di unico.

Puoi raccontarci qualcosa in più su questo?

M: ​Questo è proprio l’approccio integrato. L’approccio della medicina integrata prende in carico la persona e il suo benessere considerandola nella sua totalità. Cioè non ci si rivolge solo al sintomo, ci si rivolge all’unità psiche-soma e ai linguaggi che le varie parti di questa unità utilizzano per poter comunicare tra di loro.

Ovviamente, parlando di corpo e di malattia, il linguaggio è quello delle emozioni perché il nostro corpo reagisce e si esprime attraverso le emozioni, ma non solo.

Il nostro corpo è come se fosse il palcoscenico sul quale agiscono le emozioni che sono le espressioni di altre parti di noi, della nostra parte spirituale diciamo così, che per comunicare utilizza questo metodo. Per cui il lavoro sulle emozioni è importantissimo per riuscire a cogliere ciò che sta dietro la manifestazione esteriore che è il sintomo.

andare oltre la pauraIl sintomo è quello che noi potremmo considerare la gomma bucata in un auto: cambiamo la gomma e l’auto va. Ma se l’auto buca la gomma perché ha un difetto all’interno della ruota e non solo perché c’era un sasso o un chiodo per strada, se non andiamo a vedere quel difetto interno non risolviamo il problema completamente, lo tamponiamo solo. Il benessere è totale, deve essere totale, se no, non è vero benessere.

Per poterlo raggiungere e soprattutto mantenere, l’importante è occuparsi di tutte le componenti.

La medicina integrata ovviamente è validata ed è trattata da medici, io quella l’ho sperimentata come paziente ma mi ha appassionata talmente tanto che ho iniziato a formarmi per poter fare tutto ciò che posso con il titolo di coach, e quindi occuparmi di tutta la parte che riguarda proprio l’indagine interiore, le convinzioni, le convinzioni limitanti, la ricostruzione delle credenze potenzianti, l’individuazione, la decodifica del linguaggio emotivo attraverso il corpo.

In questo modo si riesce a raggiungere una profondità e soprattutto si riesce ad andare molto indietro nel tempo, quando ancora il linguaggio non era sviluppato prima di due anni di vita. Allora le emozioni si sono sedimentate direttamente nel corpo, per cui anche andando a parlare, fare psicoterapie varie, ecc. più indietro di quello non si può andare, perché prima noi non avevamo il linguaggio e quindi non eravamo in grado, non eravamo ancora abbastanza maturi per poterle incamerare nella memoria del linguaggio. E le abbiamo incamerate nel corpo, fisicamente.

Bisogna trovare altre vie per poterle fare esprimere. Io questa cosa l’ho provata e sperimentata direttamente su di me, perché è stato proprio venire a conoscenza ed essere consapevole di emozioni che avevo provato molto molto molto precocemente che mi ha fatto capire tantissime altre cose di me e me le ha fatte liberare.

Soprattutto è quello, risperimentando nel corpo quell’emozione che hai di fatto soppresso, la liberi. Liberi l’energia e quella emozione non ti appartiene più, cioè ti appartiene come ricordo ma non ti ostacola più.

Parlando quindi di quello che fai con i tuoi clienti, ti viene in mente un momento particolarmente emozionante, intenso, che hai vissuto con loro?

M: ​Ce ne sono vari. Uno di un mio cliente che aveva una grossa difficoltà lavorativa al punto da decidere, nonostante facesse il lavoro che amava di più, che aveva scelto e per il quale aveva combattuto, di smettere di fare questo lavoro.

Andando a scavare è saltato fuori che c’era un grosso ostacolo nel tenere testa al proprio capo, quindi una cosa che in realtà è poi abbastanza comune, al punto però da non volerlo affrontare perché aveva provato e non era riuscito ad ottenere quello che voleva e quindi si era già creato l’alibi: avrebbe smesso di fare quel lavoro, non gli piaceva più.

Ed è saltato fuori che in realtà il problema era che c’era questo nodo da affrontare, che non si sapeva come fare ad affrontare. Lì abbiamo lavorato sul superamento della paura in modo corporeo, abbiamo fatto un lavoro sulla ristrutturazione delle credenze limitanti sul valore di sé e poi ci siamo dati un appuntamento nel quale lui avrebbe riaffrontato il suo capo, cercando di ottenere quello che era dovuto. Di fatto così è stato, il capo è stato affrontato e sembrava già un’ottima vittoria, nel senso che lui ha affrontato il capo e gli ha tenuto testa.

Invece di indietreggiare, questa volta aveva mantenuto la posizione e ottenuto dal capo di poter gestire quella situazione come aveva proposto. Quindi una grande vittoria, noi avevamo già festeggiato!

Due giorni dopo invece mi è arrivato un messaggio nel quale mi ha spiegato che “Non sai cosa è successo, sono arrivato a lavoro stamattina e ho trovato il mio capo a pranzo che mi ha chiesto scusa perché si è reso conto di avermi sottoposto ad un trattamento ingiusto, ed era rammaricato per la situazione che non era di mia competenza in modo scorretto e mi ha chiesto scusa” e questo per lui è stata una vittoria grandissima, perché questo è proprio il momento in cui ci si rende conto che, quando fai il passo oltre la paura crei la tua realtà cioè quando agisci non più per la paura ma per quello in cui credi, quello in cui sei, la realtà cambia.

Wow, una bellissima testimonianza, un bellissimo esempio. E quindi ecco Mariacristina, arriviamo verso la conclusione di questo spotlight.

Abbiamo parlato di paura, non solo legata alla malattia o quello che è il trascorrere della malattia ma anche appunto paura legata al cambiamento, di quello che può avvenire nella vita di tutti i giorni. In entrambi i casi, quando si riconosce e si accetta questa paura, poi si possono trovare degli strumenti per affrontarla e da lì si possono sbloccare tantissime cose che si desideravano e che magari non ci si sarebbe aspettati, giusto?

M:​ Sì, decisamente.

A: Bene, allora Mariacristina, io ti ringrazio molto per aver condiviso con la tua esperienza quello che fai con i tuoi clienti. E per concludere ti chiedo di lasciarci tutti i riferimenti così che possiamo trovarti.

M: ​Mi trovate sulla pagina Facebook “Mariacristina Errani.lifecoach” e sul mio sito www.mariacristinaerrani.it

A:​ ​Ottimo, perfetto! Allora io ti ringrazio tanto e, ragazze, noi ci rivedremo alla prossima puntata di spotlight. Ciao!

M:​ Ciao!


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